Il chiodo che sporge va ribattuto
Il giapponese considera l’autorità necessaria alla sopravvivenza della società e l’ubbidienza all’autorità come una forma di cooperazione piuttosto che di coercizione. Il benessere del gruppo viene considerato più importante di quello del singolo.
Conformità sociale, gerarchia e dinamica del gruppo
L’antropologa giapponese Chie Nakane, afferma «Il Giappone moderno ha una struttura gerarchica che segue una stratificazione verticale in base alle istituzioni, piuttosto che orizzontale in base alle classi o alle caste. L’individuo giapponese non ha uno status individuale universalmente valido nella società, ma la sua identità è determinata esclusivamente dal ruolo che assume in una particolare istituzione.
Non bisogna confondere la gerarchia giapponese con quella occidentale, come se fossero equivalenti i rapporti di forza e le strutture sociali: il fine ultimo della gerarchia giapponese è la costituzione del gruppo. Gruppo, che può essere di lavoro, di studio o familiare.»(1)
Malgrado la sua modernizzazione, il Giappone rimane comunque una società gerarchica in cui tutto è regolato da convenzioni e norme meticolose.
Gli antichi guerrieri vivevano per la lealtà, la disciplina, l’obbedienza alla nazione al clan, alla famiglia e all’onore personale. Le forme oggi sono cambiate, ma le qualità del popolo giapponese sono rimaste invariate, così come le tradizioni, che sono vive perché condizionano inequivocabilmente un presente, che a sua volta le ridefinisce e rafforza.
Tradizione e modernizzazione non sono in Giappone in contrasto, ma due facce della medesima medaglia. Il sistema giapponese ha realizzato una completa integrazione fra modernizzazione e tradizione sfruttando le caratteristiche culturali a vantaggio dello sviluppo e dell’organizzazione.
Nella cultura giapponese esiste una forma d’ordine, a cui gli occidentali non sono abituati, in cui è vero che l’individuo è vulnerabile e l’individualità non viene incentivata, ma esiste una sensibilità comune che dà l’impressione di avere a che fare con una sorta di persona collettiva.
La gerarchia non ha quindi lo scopo di proclamare la supremazia di un individuo sugli altri, ma quella di stabilire i doveri all’interno del gruppo, in cui il valore dominante è l’armonia, che si manifesta nella gratitudine e lealtà, nei sentimenti di benevolenza e di comprensione del capo nei confronti dei suoi subordinati.
Esistono rapporti importanti che comportano differenze di età fra le persone coinvolte: quelli tra genitori e figli, tra insegnanti e studenti, tra superiori e subordinati, che divengono un modello per le altre relazioni interpersonali.
In Occidente, le differenze di età e di stato non influenzano i rapporti tra le persone come avviene in Giappone.
Gli studenti possono parlare con i professori in modo molto informale. Una matricola e un anziano in un college possono essere buoni amici. I giovani e agli anziani possono avere un rapporto paritetico.
In Giappone, quando i giapponesi si riuniscono, il loro comportamento è fortemente influenzato dalla consapevolezza del livello e del grado di ogni persona del gruppo in accordo con l’età e lo stato sociale.
La consapevolezza delle differenze di età e di rango è inoltre una necessità costante per l’uso appropriato della lingua giapponese. Un giapponese deve infatti parlare con un anziano usando un vocabolario e una forma linguistica più educati, usando cioè il linguaggio formale che in giapponese è chiamato Keigo.
Il rapporto Senpai-Kohai
Niente descrive più chiaramente questo aspetto della tradizione e della natura gerarchica della società giapponese che il rapporto tra Senpai(l’anziano o il superiore) e Kohai (più giovane) in qualsiasi organizzazione sociale.
L’atteggiamento verso il proprio Senpai è caratterizzato da formalismo, obbedienza e fiducia.
Il rapporto tra inferiori o Kohai e i loro Senpai segue le rigide regole imposte dall’etichetta, manifesta il rispetto della gerarchia e quindi l’adesione alla struttura sociale(2).
Secondo la cultura giapponese, l’accettazione di altri come propri superiori è uno strumento utile per insegnare la leadership, l’autocontrollo e l’autodisciplina.
Il rischio è che questa consuetudine possa inibire lo sviluppo personale: quando gli individui smettono di pensare con la loro testa e lasciano le decisioni ai loro superiori, possono diventarne dipendenti e interrompere il percorso che porta alla maturità, ma questo fa parte delle regole del gioco.
Nell’interpretare questo rapporto è importante tener presente la sua confrontabilità con la famiglia che rappresenta il pilastro della società giapponese in quando propone e rispecchia le norme, i valori culturali, le tradizioni e il pensiero comune.
All’interno della famiglia giapponese i bambini sono molto amati e viziati, le oba-san e gli oji-san (nonne e nonni) di solito occupano un posto speciale e godono di grande considerazione: l’inizio e la fine della vita sono considerati vicini al mondo spirituale e quindi degni di un rispetto maggiore. La dipendenza del più giovane, del più fragile della famiglia non solo è accettata, ma diventa il punto focale della relazione, in cui si esprimono i valori di coesione e di unità, e si consolidano i ruoli all’interno del gruppo.
I sentimenti di affetto e la gerarchia propri delle relazioni familiari, invece che entrare in contraddizione, si rafforzano vicendevolmente, affermando gli ideali di ordine e armonia.
Nella famiglia nascono e si sviluppano i valori fondamentali di tutte le relazioni interpersonali e il codice di comportamento che ne deriva consente di rendere simili e comparabili situazioni sostanzialmente dissimili, come l’ambiente famigliare, la scuola e il mondo del lavoro.
L’affermazione: «I Senpai sono come padri protettivi, come fratelli maggiori» indica proprio come la relazione Senpai-Kohai abbia profonde analogie con la relazione esistente all’interno della famiglia fra i genitori e i figli o fra il fratello maggiore e quelli più giovani.
Il rapporto senpai kohai inizia nelle scuole
Gli studenti giapponesi incontrano il loro primo Senpai nella scuola media, quando si iscrivono a qualche circolo, sportivo o culturale, e questo rapporto durerà anche dopo il loro diploma.
I nuovi studenti sono addestrati, come dei soldati, a servire il loro Senpai. Quando parlano con il loro Senpai devono usare un linguaggio educato e formale per mostrare rispetto verso l’anziano.
Quando incontrano il loro Senpai devono inchinarsi.
Chiamare gli anziani per nome è proibito.
In questo rapporto molto rigido e formale, simile al sistema gerarchico dell’esercito, l’obbedienza è il valore più importante del Kohai.
Questa relazione si ripropone anche nel mondo del lavoro.
Come già detto nella cultura giapponese è cruciale sapere in anticipo chi è più anziano e chi è più giovane in qualsiasi relazione personale, in modo tale da usare, nei confronti dell’anziano, il giusto tono di voce, l’appropriato livello di formalismo e di termini onorifici.
Per questo motivo nessun rapporto d’affari può cominciare prima di essersi scambiati i biglietti da visita (Meishi), che contengono informazioni molto precise e dettagliate sul rango e sulla posizione aziendale, in modo da aver chiaro chi deve portar riguardo a chi.
Le più recenti ed autorevoli analisi sulla moderna organizzazione giapponese conferiscono un posto determinante al rapporto Senpai-Kohai, che è considerato cruciale per comprendere le caratteristiche tipicamente giapponesi della loro struttura aziendale.
La relazione Senpai-Kohai è riproposta ed enfatizzata nel Budo giapponese.
Il Rei, ossia “il saluto” e quindi l’inchino come sua forma esteriore (Tatemae) e il rispetto come forma interiore (Honne), riunisce le nozioni di educazione, cortesia, gerarchia, lealtà e gratitudine.
Non per niente i termini, che in giapponese indicano l’etichetta (Reishiki / Reigi), derivano direttamente da Rei e in questa particolare accezione, l’etichetta non è solo l’espressione del mutuo rispetto all’interno della società, ma un mezzo per prendere coscienza della propria posizione e avvicinarsi alla comprensione del Budo.
Come nella famiglia c’è una gerarchia naturale, così è nel Budo: maestro e allievo, Senpai, Dohai e Kohai, gradi avanzati e principianti, e tutte queste relazioni devono agire in modo congiunto, per preservare l’ordine e l’armonia nel gruppo.
“L’etichetta consiste nel determinare caso per caso il giusto equilibrio.“
Per un giapponese che pratica in un dojo, adeguarsi a queste norme è facile, non ha che da replicare le regole di comportamento, che già applica, sotto altra forma nella sua vita sociale.
Per un occidentale è più difficile. L’informalità, che caratterizza i nostri rapporti quotidiani, mal si coniuga con le rigide norme dell’etichetta, di cui fatichiamo ad elaborarne i contenuti.
Le relazioni Sensei-Deshi e Senpai-Kohai, così diffuse e naturali nella società giapponese, sono per l’occidentale, anche se praticante di arti marziali, di difficile comprensione ed attuazione.
Eppure è così semplice: “Il Senpai si prende cura del Kohai, perché occupa il posto che è suo e merita perciò che ci si occupi di lui.” Allo stesso modo il rispetto verso il Senpai non deve essere richiesto o imposto, il Kohai “deve avere il desiderio naturale di rispettare il Senpai.“
Così in Giappone l’allievo non fa domande al maestro, accetta l’insegnamento perché il Sensei ne sa di più, ha maggior esperienza, inoltre fare domande è considerato scortese e potenzialmente distruttivo dell’armonia del gruppo.
Forse è proprio questa semplicità, questa naturalezza, questa forma di ordine gerarchico per noi atipica, questa certezza che non ammette replica, che ostacola la capacità di capire …
Ma in fondo cosa c’è da capire … basta accettare.
Ed è di questa impostazione culturale, tutta giapponese, che il Karate-do moderno è figlio.
Ed è forse anche a causa di questa impostazione culturale che impone il non fare domande ai propri maestri che buona parte delle conoscenze e delle pratiche dell’antica arte di Okinawa si sono perse per sempre nelle sabbie del tempo …
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NOTE
(1) Chie Nakane – Personal Relations in a Vertical Society: A theory of Homogeneous Society – Kodansha – Tokyo 1967
(2) Patrizia Corgiat Mecio – La relazione Senpai-Kohai nella cultura giapponese – 2001